“Una quantità enorme di cibo viene perso o sprecato […] con conseguenze negative per la sicurezza alimentare, l’alimentazione, l’utilizzo delle risorse naturali e l’ambiente […], un problema di livello mondiale con notevoli ripercussioni economiche, ambientali e sociali”
Questo virgolettato riporta un passo del comunicato finale dell’incontro tra i Ministri dell’Agricoltura del G20 tenutosi ad Istanbul il 7 e l’8 maggio di quest’anno, nel quale i Paesi più industrializzati al mondo si sono ripromessi di dare una risposta al problema.
L’allarme era già stato lanciato nel 2013 da un rapporto della FAO sul tema: secondo l’organismo dell’ONU, infatti, ogni anno un terzo di tutto il cibo prodotto nel mondo finisce tra i rifiuti.
La quantità di cibo commestibile sprecato viene calcolato dalla FAO in 1,3 miliardi di tonnellate (secondo Legambiente in Italia gettiamo via 240mila tonnellate di cibo ogni anno).
Per produrre questo cibo non mangiato l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura stima che vengano prodotte 3,3 miliardi di tonnellate di anidride carbonica (solo Stati Uniti e Cina ne producono di più al mondo), utilizzati 250 miliardi di metri cubi di acqua (tre volte il volume del lago di Ginevra), occupati 1,4 miliardi di ettari di terreni (pari al 30% dei terreni agricoli di tutto il mondo), spesi 750 miliardi di dollari (l’equivalente del PIL della Svizzera).
Se è vero che una gestione corretta dei rifiuti alimentari è essenziale per garantire l’ambiente e la nostra salute, è altrettanto vero che ridurre lo spreco di cibo risulta fondamentale per la felicità globale: secondo il Direttore Generale della FAO, Jose Graziano Da Silva, il cibo gettato tra i rifiuti sarebbe sufficiente per sfamare 2 miliardi di persone – tra queste, anche gli 805 milioni di individui nel mondo che ogni giorno soffrono la fame.
[…] Dell’eccessiva produzione di rifiuti alimentari nel mondo avevamo parlato un mese fa. […]