Stiamo bruciando dal freddo: un’inchiesta pubblicata la scorsa settimana dal The Guardian annuncia un’incombente e disastrosa “crisi del freddo” causata dalla veloce crescita della domanda di refrigerazione che, stando alle fonti citate dal quotidiano inglese, contribuisce in maniera importante all’aumento del riscaldamento globale.
La Cenerentola del dibattito energetico
Nonostante nell’immaginario collettivo l’energia venga intesa esclusivamente in termini di riscaldamento, illuminazione e trasporto, il freddo artificiale ricopre un ruolo da protagonista nei consumi energetici del mondo contemporaneo: l’aria condizionata rende confortevoli case, uffici ed automobili; molte medicine e cibi necessitano di frigoriferi, altri cibi vengono congelati; senza freddo le industrie chimiche, plastiche e dell’acciaio non potrebbero lavorare, i grandi server di tutto il mondo ed internet chiuderebbero in pochi minuti.
Quanto sta crescendo la domanda di raffreddamento? Per farci un’idea, secondo i dati riportati dal Guardian e tratti dal libro “Losing our Cool” di Stan Cox, in quindici anni le case statunitensi dotate di aria condizionata sono passate da 64 milioni a 100 milioni. Altri esempi vengono dalla Cina, dove nel solo 2010 sono stati venduti 50 milioni d’impianti per l’aria condizionata; nel 1995 solo il 7% delle case cinesi possedeva frigoriferi: nel 2007 erano il 95%.
Ancora, l’aria condizionata rappresenta il 40% dell’energia utilizzata a Mumbai e più della metà di quella usata in estate in Arabia Saudita. Per l’Unione Europea, invece, il consumo energetico legato al raffreddamento degli edifici nel Vecchio Continente crescerà del 72% nei prossimi 15 anni.
Il freddo che scotta: le conseguenze sul clima
Il freddo artificiale è prodotto principalmente ancora attraverso tecnologie che hanno più di un secolo e che spesso utilizzano non solo grandi quantità d’energia prodotta da combustibili fossili ma anche HFC (gas refrigeranti contenenti idrofluorocarburi) che producono gas serra anche quattromila volte più potenti del biossido di carbonio (i refrigeranti sono ovviamente individuati nell’Elenco dei Codici CER come rifiuti pericolosi).
Riporta l’articolo del The Guardian che le perdite di liquido refrigerante e i consumi energetici legati al raffreddamento rappresentano attualmente circa il 10% delle emissioni globali di CO2. Secondo l’Istituto Nazionale per la Salute Pubblica e l’Ambiente dei Paesi Bassi, senza un accordo globale sull’utilizzo degli HFC, i sistemi di raffreddamento potrebbero far crescere del 10% il riscaldamento globale causato dalle emissioni di gas serra entro il 2050.
Un dossier di Legambiente del dicembre del 2013 afferma che le centomila tonnellate di gas refrigeranti utilizzati in Italia hanno un potenziale effetto serra corrispondente a 250 milioni di tonnellate di CO2 (pari a circa il 50% del totale delle emissioni di gas serra annuali). Sempre secondo i dati dell’associazione ambientalista, le emissioni di HFC sarebbero cresciute dal 2002 al 2012 del 341%.
Se la crescita e lo sviluppo non possono essere fermati e se l’aumento della popolazione mondiale richiederà sempre più refrigerazione, occorre ripensare – velocemente – il freddo: investendo sulla ricerca di nuove tecnologie che sostituiscano le attuali; riducendo gli sprechi alimentari; costruendo città ed edifici ad alta efficienza energetica.
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